Terapie ormonali e rischio oncologico
- Gruppo Sadel

- 16 ott
- Tempo di lettura: 7 min
Le terapie ormonali sono farmaci usati in diverse situazioni (contraccezione, menopausa, ecc.) che possono influenzare il rischio di sviluppare alcuni tumori, in particolare quelli sensibili agli ormoni come il cancro al seno. In questo contesto, le due principali tipologie di trattamento ormonale da considerare sono: la pillola anticoncezionale (contraccettivi orali) e la terapia ormonale sostitutiva (TOS) usata in menopausa. Vediamo cosa dice la scienza riguardo al loro impatto sul rischio oncologico, soprattutto sul tumore mammario, e come bilanciare rischi e benefici.
Contraccettivi orali e tumore al seno: La pillola anticoncezionale combinata contiene estrogeni e progestinici sintetici che impediscono l’ovulazione. È stata una rivoluzione sociale e medica, e viene usata da centinaia di milioni di donne nel mondo. Riguardo al cancro al seno, gli studi indicano un lieve aumento del rischio relativo fra le utilizzatrici di contraccettivi orali, limitato al periodo d’uso e ai primi anni dopo la sospensione. In particolare, una meta-analisi su vasta scala ha stimato che l’assunzione della pillola per 5-10 anni comporta un rischio di sviluppare un tumore al seno circa 1,2 volte (cioè +20%) superiore rispetto a chi non l’ha mai usata.
È un aumento modesto in termini assoluti, considerando che il cancro al seno nelle giovani è raro: per fare un esempio, una donna sui 30 anni ha un rischio base basso di ammalarsi nei successivi 10 anni, quindi un incremento del 20% su un rischio piccolo comporta pochi casi in più. Inoltre, questo leggero eccesso di rischio tende a svanire entro circa 10 annidalla sospensione della pillola. Detto ciò, il legame è comunque noto e riconosciuto: gli ormoni della pillola possono favorire la proliferazione delle cellule mammarie. Va però sottolineato che la pillola porta anche benefici protettivi su altri fronti oncologici: riduce significativamente il rischio di tumore dell’ovaio (fino al 50% in meno dopo molti anni d’uso) e del corpo dell’utero (endometrio), e diminuisce anche i fibromi uterini e le cisti ovariche. Questi effetti positivi sono dovuti al fatto che la pillola “mette a riposo” le ovaie e abbassa l’esposizione a estrogeni endogeni per l’endometrio. Quindi il bilancio rischi/benefici va valutato nel complesso: per una donna giovane sana, il rischio aggiuntivo di carcinoma mammario è molto piccolo e bilanciato dalla protezione su tumori ovarici e endometriali. Tanto che le linee guida mondiali considerano la pillola sicura per la maggior parte delle donne. Ovviamente, chi ha fattori di rischio particolari (ad esempio una forte familiarità per tumore al seno o mutazioni BRCA) dovrebbe discutere attentamente col medico la scelta contraccettiva: in questi casi si può optare per metodi non ormonali oppure pillole solo progestiniche (che sembrano avere impatto minore sul seno). In generale però il messaggio è che la pillola aumenta di poco il rischio di tumore al seno, ma è un aumento temporaneo e relativo. Giova ricordare, inoltre, che il tumore al seno in età giovanile è molto raro, mentre la pillola previene gravidanze indesiderate (che in certe circostanze possono rappresentare un rischio per la salute della donna). Ogni donna deve valutare col proprio ginecologo caso per caso.
Terapia ormonale sostitutiva (TOS) in menopausa e rischio: La TOS consiste nella somministrazione di ormoni (estrogeni da soli o con progestinici) alle donne in menopausa per alleviare i sintomi carenziali (vampate di calore, sudorazioni, disturbi del sonno, secchezza vaginale, sbalzi d’umore, osteoporosi, ecc.). Questa terapia è molto efficace sul piano del benessere menopausale, ma già dagli anni 2000 si è scoperto che un uso prolungato può aumentare il rischio di cancro al seno. In particolare, gli studi del Women’s Health Initiative (WHI) hanno dimostrato che le donne in post-menopausa che assumevano TOS combinata (estrogeno + progestinico) per oltre 5 anni presentavano un’incidenza di carcinoma mammario superiore rispetto alle non utilizzatrici: circa un +26% di rischio relativo dopo 5 anni di terapia combinata. Detto in altri termini, se il rischio di base per una donna 60enne di sviluppare un tumore al seno nei prossimi 5 anni è ad esempio 2 su 100, con una TOS prolungata potrebbe diventare ~2,5 su 100. Il rischio aumenta con la durata: terapie brevi (1-2 anni) sembrano quasi innocue, mentre oltre i 5 anni l’incremento diventa significativo. Inoltre, dipende dal tipo: le TOS che contengono sia estrogeni sia progestinici sono risultate le più rischiose per il seno, mentre la TOS con soli estrogeni (riservata a donne senza utero) ha un impatto minore sul seno e in alcuni studi non ha mostrato aumento di incidenza (anzi, in WHI, estrogeni soli per 7 anni non aumentarono i tumori mammari, benché aumentassero leggermente rischio di ictus e riducessero quello di seno – un risultato inaspettato e non del tutto compreso). In ogni caso, la comunità scientifica concorda sul fatto che la TOS, specie combinata, va usata alla dose minima efficace e per il tempo più breve possibile se l’obiettivo è solo mitigare i sintomi della menopausa. L’aumento di rischio, come per la pillola, è reversibile dopo la sospensione, ma qui gli studi dicono che può persistere più a lungo: l’ampia revisione pubblicata su Lancet nel 2019 ha evidenziato che il rischio aggiuntivo di carcinoma mammario persisteva anche fino a 10 anni dopo aver interrotto una TOS protratta per 5-10 anni. La stessa review quantificava che, su 100 donne che usano TOS combinata per 5 anni a partire dai 50, ci saranno circa 1,0-1,5 casi in più di tumore al seno nei 20 anni seguenti, rispetto a 100 donne che non la usano. Non cifre enormi, ma nemmeno trascurabili. Se la TOS dura 10 anni, i casi extra salgono a ~5 su 100. Sulla base di ciò, l’approccio attuale è: valutare attentamente l’indicazione alla TOS (se i sintomi sono molto invalidanti e la donna è a basso rischio individuale, la TOS può essere un’opzione), informare la paziente dei potenziali rischi e benefici, e monitorare attentamente il seno durante la terapia (controlli clinici e strumentali regolari). Esistono strategie per ridurre il rischio: usare, quando possibile, estrogeni a basso dosaggio per via transdermica e progestinici per il minor tempo; alcune donne possono sospendere il progestinico alcuni giorni al mese (TOS sequenziale) per ridurre l’esposizione. Un altro approccio è ricorrere a terapie alternative per i sintomi: ad esempio i fitoestrogeni (come isoflavoni di soia o cimicifuga racemosa) o altre terapie non ormonali per vampate e osteoporosi. Queste hanno efficacia variabile e non sono paragonabili agli ormoni come potenza, ma in donne a rischio elevato di cancro, i medici spesso preferiscono evitarle la TOS classica.
Altri rischi oncologici da terapie ormonali: Oltre al seno, vanno menzionati gli effetti su altri tumori. La TOS combinata comporta un leggero aumento anche di tumore dell’ovaio e dell’endometrio se non ben bilanciata, mentre la TOS con solo estrogeni può aumentare nettamente il rischio di tumore dell’endometrio (per questo nelle donne con utero si aggiunge sempre il progestinico protettivo). I contraccettivi orali, al contrario, come detto riducono rischio di ovaio e endometrio. Hanno però una lieve associazione anche con il carcinoma della cervice uterina nelle utilizzatrici di lungo corso (forse perché favoriscono comportamenti a rischio e infezioni da HPV, comunque proteggersi con pap-test regolari risolve il problema). Per altri tumori: la pillola potrebbe leggermente aumentare anche i rari tumori epatici benigni e forse il carcinoma del fegato (dati non solidissimi). Comunque, in generale il bilancio per la pillola in termini di cancro è considerato neutro o addirittura positivo (si evitano più tumori ovarici di quanti se ne provochino al seno). Per la TOS, il bilancio è più delicato: previene osteoporosi e forse patologie cardiovascolari se iniziata in tempo, ma aumenta un po’ il seno, forse l’ovaio e trombosi.

Terapie ormonali e donne ad alto rischio: Nel caso di donne con mutazioni BRCA o forte familiarità, sia la pillola che la TOS meritano discussione approfondita. Curiosamente, studi su BRCA hanno mostrato che l’uso della pillola aumenta sì il rischio di carcinoma mammario anche in queste donne (specie BRCA1), ma per contro riduce il rischio altissimo di carcinoma ovarico (che nelle BRCA è molto elevato). Quindi anche lì si deve bilanciare (alcune BRCA1 usano la pillola proprio per ridurre il rischio ovarico). Quanto alla TOS, per le donne portatrici di mutazione che magari hanno fatto ovarectomia preventiva, a volte si offre qualche anno di TOS per mitigare i sintomi menopausali anticipati: i dati indicano che un uso limitato non incrementa significativamente il loro rischio di nuovo tumore (specie se TOS solo estrogeni, perché non hanno utero). Insomma, anche nel sottogruppo ad alto rischio, la terapia ormonale va considerata caso per caso.
Conclusioni pratiche: Le terapie ormonali vanno usate in maniera consapevole. Per le donne giovani che necessitano di contraccezione efficace, i contraccettivi orali combinati rappresentano un’opzione valida: l’aumento di rischio di cancro al seno c’è ma è piccolo, e va ponderato con i benefici di prevenzione di altre neoplasie e gravidanze indesiderate. L’importante è fare controlli regolari e sospendere la pillola quando non serve più (ad esempio, inutile continuare oltre i 40-45 anni se non serve contraccezione). Per le donne in menopausa con sintomi severi, la TOS può migliorare drasticamente la qualità di vita: in questi casi è giusto considerarla, ma sotto stretto controllo medico e informando la paziente che, se possibile, sarebbe meglio limitarsi a pochi anni di terapia. Per quelle con sintomi lievi, magari è preferibile farne a meno per non assumere rischi superflui. In ogni caso, i medici oggi cercano di personalizzare la scelta: ad esempio esistono preparati a base di estrogeni naturali identici a quelli umani e progesterone naturale micronizzato, che forse hanno un impatto leggermente minore sul seno rispetto ai progestinici sintetici di vecchia generazione.
Un concetto chiave è che nessuno dovrebbe assumere ormoni a lungo termine senza una chiara indicazione medica e senza rivalutazioni periodiche. Questo riguarda anche altri contesti: ad esempio l’abuso di terapie ormonali per bodybuilding (testosterone, steroidi anabolizzanti) che aumenta il rischio di tumori del fegato e prostata negli uomini; oppure trattamenti ormonali per condizioni benigne senza necessità effettiva. Gli ormoni sono potenti e vanno maneggiati con cautela.
Infine, per le donne che già hanno avuto un tumore al seno, in genere è controindicato assumere terapie ormonali (né pillola né TOS) perché potrebbero stimolare residui tumorali. In questi casi si opta per contraccezione non ormonale e per gestire la menopausa si utilizzano terapie non ormonali (o solo estrogeni locali in vagina per i sintomi urogenitali, che sono a basso assorbimento sistemico).
In sintesi: “Gli ormoni non sono caramelle”. Le terapie ormonali possono lievemente aumentare il rischio di alcuni tumori, primo fra tutti quello al seno, specialmente se usate in modo prolungato. Tuttavia, quando servono davvero, il loro uso attento e monitorato può essere giustificato. È fondamentale parlarne approfonditamente col proprio medico o ginecologo, valutando la storia personale e familiare. L’obiettivo dev’essere sempre massimizzare i benefici per la salute e minimizzare i rischi: in alcuni casi ciò significa usare gli ormoni, in altri casi significa evitarli. La buona notizia è che la ricerca continua a sviluppare formulazioni più sicure (ad esempio nuovi modulatori dei recettori, progestinici “tissue-selective”, ecc.) e linee guida sempre più precise per identificare chi può trarre vantaggio dalle terapie ormonali senza esporsi a pericoli eccessivi.




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