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Il ruolo del medico di famiglia nella prevenzione

  • Immagine del redattore: Gruppo Sadel
    Gruppo Sadel
  • 23 ott
  • Tempo di lettura: 5 min

Il medico di famiglia (o medico di medicina generale) riveste un ruolo centrale nella prevenzione dei tumori, compreso il tumore al seno, essendo spesso il primo riferimento sanitario per la popolazione. Pur non essendo uno specialista oncologo o senologo, il medico di base conosce la storia clinica della paziente, i suoi fattori di rischio e il contesto familiare, e può quindi guidarla in un percorso di prevenzione personalizzato e di diagnosi precoce.

Innanzitutto, il medico di famiglia ha il compito di individuare gli eventuali fattori di rischio modificabili presenti nella vita della propria assistita e consigliarle come ridurli. Ad esempio, durante le visite generali il medico può rilevare che la paziente è sovrappeso od obesa, fuma sigarette, beve alcol regolarmente o conduce una vita sedentaria: tutte condizioni che – è dimostrato – aumentano il rischio di sviluppare vari tumori, incluso il carcinoma mammario.


In questi casi, il medico di base fornisce indicazioni pratiche per migliorare lo stile di vita: piani alimentari per perdere peso gradualmente (o può inviare da un nutrizionista), suggerimenti per smettere di fumare (magari indirizzando a centri antifumo), incoraggiamento all’attività fisica regolare, e moderazione nel consumo di alcol. Spesso il medico di famiglia è colui che, con continuità e fiducia costruita nel tempo, può motivere la persona a mettere in atto questi cambiamenti salutari. Ad esempio, può concordare controlli periodici del peso, monitorare la pressione e gli esami metabolici, in modo da far sentire la paziente seguita nel percorso verso abitudini più sane. Questo supporto è cruciale, perché molti fattori di rischio oncologico sono comportamentali e ridurli ha un impatto preventivo significativo.

Il medico di base ha poi un ruolo chiave nel promuovere l’adesione agli screening oncologici. Quando la paziente rientra nelle fasce d’età di screening (ad esempio 50-69 anni per la mammografia biennale), il medico di famiglia la informa dell’importanza di partecipare e la incoraggia a non trascurare l’invito che arriva dall’ASL.


Se la donna non riceve l’invito o lo perde, il medico può attivarsi per prescrivere direttamente una mammografia con codice di esenzione, così che la paziente possa effettuare comunque il controllo gratuitamente. In pratica, il medico di famiglia funge da “cinghia di trasmissione” tra il programma di sanità pubblica e il cittadino, assicurandosi che quest’ultimo ne benefici. Questo è importante perché, purtroppo, non tutte le donne aderiscono spontaneamente agli screening: qui il consiglio personalizzato del proprio medico può fare la differenza nel convincere le persone più restie o meno informate. Ad esempio, il medico di base può spiegare che la mammografia, pur avendo qualche fastidio, riduce la mortalità per tumore al seno, e dissipare dubbi o paure della paziente riguardo all’esame.


Oltre allo screening “standard”, il medico di famiglia personalizza il piano di sorveglianza in base al rischio individuale. Per le pazienti con storia familiare significativa di tumore al seno o ovarico, o portatrici note di mutazioni genetiche (come BRCA), il medico di base sa che potrebbero essere necessari controlli anticipati e più ravvicinati. In questi casi, invia la paziente a centri di genetica oncologica o specialisti per valutare test genetici e programmi di sorveglianza ad hoc. Ad esempio, se una donna ha madre e sorella con tumore al seno in giovane età, il medico di famiglia può attivarsi per farla entrare in un percorso di screening clinico-strumentale intensivo già dai 30-35 anni, con visite senologiche annuali e risonanze magnetiche/mammografie periodiche prima dell’età standard. Il medico di base è dunque il regista che riconosce la necessità di prevenzione personalizzata e indirizza verso le strutture adeguate (Breast Unit, ambulatori ad alto rischio, etc.). In molte regioni, ad esempio, se la paziente riferisce molti casi in famiglia, il medico compila l’anamnesi familiare e la impegna per una consulenza genetica: da lì, se opportuno, partiranno test e poi l’inserimento in protocolli dedicati. In altre parole, il medico di famiglia non si limita alla prevenzione “per tutti”, ma si occupa anche di quella “per ciascuno”, assicurando che chi ha bisogno di misure aggiuntive le ottenga.

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Un altro compito fondamentale è prestare attenzione ai segnali precoci o sintomi che la paziente potrebbe riportare e che potrebbero indicare la presenza di un tumore al seno. Spesso la donna chiama o va dal proprio medico di base quando nota qualcosa di strano, per chiedere un primo parere. Il medico di famiglia, pur non essendo specialista senologo, ha le competenze per fare una prima valutazione: ad esempio, se la paziente segnala un nodulo al seno, il medico effettua un esame obiettivo palpatorio in ambulatorio. In caso di sospetto (o anche solo per scrupolo), potrà prescrivere subito un’ecografia mammaria o una mammografia diagnostica, senza attendere i tempi dello screening, e indirizzare rapidamente la paziente allo specialista (senologo/chirurgo od oncologo). Questo passaggio è cruciale perché il medico di base è spesso il primo a cui la donna si rivolge quando avverte un disturbo: se il medico intercetta un segnale d’allarme (ad esempio secrezione ematica dal capezzolo, retrazione del capezzolo, nodulo duro, edema cutaneo tipo “buccia d’arancia” ecc.), deve attivare subito il percorso diagnostico. In alcune regioni sono attive le reti oncologiche che permettono al medico di medicina generale di inserire la paziente in un iter preferenziale: ad esempio, in Campania, il medico può inoltrare la richiesta di visita senologica tramite piattaforma web della Rete Oncologica, ottenendo un appuntamento in un centro specialistico entro una settimana. Questo evita perdite di tempo prezioso e “traghetta” la paziente dal territorio all’ospedale in modo efficace. Anche senza piattaforme dedicate, il medico di famiglia può comunque accelerare i tempi segnalando l’urgenza su ricetta o contattando direttamente strutture di riferimento.


Il ruolo del medico di base continua anche dopo un’eventuale diagnosi di tumore. Ma in ottica prevenzione, vale la pena citare che il medico di famiglia aiuta la paziente a prevenire anche le recidive (prevenzione terziaria) una volta concluse le cure. Incentiva la paziente guarita a mantenere stili di vita sani (peso forma, niente fumo, dieta equilibrata, esercizio) e a rispettare i follow-up oncologici. Inoltre, si fa carico della gestione di altri problemi di salute durante e dopo le terapie oncologiche: per esempio controlla eventuali effetti collaterali tardivi, tratta sintomi come la menopausa indotta da terapia ormonale, segue l’ipertensione o le altre patologie croniche, in modo da mantenere la paziente nelle migliori condizioni generali. Questo approccio globale è importante affinché la donna non trascuri la propria salute complessiva mentre è concentrata sul cancro.


Da non dimenticare anche il ruolo del medico di famiglia nel supporto psicologico di base: spesso è una figura con cui la paziente ha confidenza da anni, e alla quale può esprimere paure o dubbi. Un medico empatico può offrire ascolto, rassicurazioni realistiche, e nel caso consigliare supporto specialistico (ad esempio suggerire un percorso psico-oncologico se avverte un forte disagio emotivo nella paziente).

In conclusione, il medico di famiglia è un alleato prezioso nella prevenzione del tumore al seno su più fronti: promuove corretti stili di vita, sensibilizza ed agevola la partecipazione agli screening, stratifica il rischio individuale indirizzando a sorveglianza speciale chi ne ha bisogno, e intercetta tempestivamente eventuali segnali sospetti avviando subito gli approfondimenti. La sanità territoriale, attraverso il medico di base, rappresenta quindi la prima linea nella lotta ai tumori. Come sintetizzato dalla Società Italiana di Medicina Generale, il medico di famiglia “ha un ruolo chiave già nella prevenzione e diagnosi precoce dei tumori”, ed è parte integrante delle reti oncologiche assistenziali. Rivolgersi con fiducia al proprio medico e fare squadra con lui/lei aumenta le probabilità di prevenire la malattia o di scoprirla sul nascere, migliorando l’esito finale.

 
 
 

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