Come affrontare la diagnosi: aspetti emotivi e supporto psicologico
- Gruppo Sadel

- 16 ott
- Tempo di lettura: 6 min
Ricevere una diagnosi di tumore al seno è un evento sconvolgente, che provoca un vero e proprio terremoto emotivo nella vita di una persona. Paura, ansia, tristezza, rabbia, senso di smarrimento e persino incredulità o rifiuto iniziale sono reazioni comuni e naturali di fronte alla parola “cancro”. È importante sapere che non esiste un modo “giusto” o “sbagliato” di reagire: ognuno di noi elabora la notizia a modo proprio e con i propri tempi. Alcune persone all’inizio possono minimizzare o negare parzialmente la realtà (come meccanismo di difesa per non essere sopraffatti dall’angoscia); altre invece desiderano da subito avere ogni informazione dettagliata e capire esattamente cosa accadrà. Qualunque sia la reazione, va bene così: l’importante è, col tempo, trovare un proprio equilibrio e attivare le risorse per affrontare al meglio il percorso.
Lo shock iniziale e il rischio di negazione: Nei primi momenti o giorni dopo la diagnosi, sentirsi frastornati è normale. La mente può quasi “anestetizzarsi” come protezione dal dolore emotivo. Questo può portare alcune persone a evitare di parlare della malattia o a comportarsi come se nulla fosse, concentrandosi solo sugli aspetti pratici (es. organizzare esami e terapie) senza esprimere quello che provano. Una certa dose di negazione temporanea può anche aiutare a reggere l’urto iniziale, ma se protratta troppo a lungo può impedire di elaborare le emozioni. Spesso infatti, dopo qualche tempo, l’ansia o la tristezza represse bussano alla porta in modo ancora più intenso. Per questo, è importante dare spazio ai propri sentimenti: concedersi momenti di sfogo e riconoscere di avere paura o di essere arrabbiati per quello che sta succedendo, è il primo passo per gestire queste emozioni.
Accettazione non significa rassegnazione: Col passare delle settimane, molte persone riescono gradualmente a “fare pace” con la diagnosi, ovvero ad accettare la realtà della malattia. Attenzione: accettare non vuol dire arrendersi passivamente. Al contrario, significa prendere atto della situazione e trovare dentro di sé (e attorno a sé) le energie e le strategie per combattere il cancro, adattando la propria vita alle nuove sfide. Non è necessario mostrarsi sempre ottimisti o combattivi a tutti i costi – non c’è nulla di male ad attraversare momenti di sconforto. L’importante è riuscire, a poco a poco, a non farsi paralizzare dalla paura e a riprendere il timone della propria vita, anche durante le terapie. Molte persone riferiscono che, dopo la fase iniziale, riescono a rimodulare le priorità, valorizzare maggiormente le cose davvero importanti e sviluppare una forza interiore che non sapevano di avere.
Conoscere e condividere: Informarsi sulla malattia e sulle cure può far sentire alcune persone più in controllo e ridurre l’ansia dell’ignoto. Fare domande al proprio oncologo, capire il significato di esami e terapie, aiuta a dare un senso al percorso che si dovrà affrontare. Allo stesso tempo, coinvolgere i propri cari di fiducia è fondamentale. Parlare con un familiare o un amico stretto di quello che si prova può alleggerire il peso emotivo. Spesso è utile portare con sé una persona fidata alle visite mediche: non solo offre conforto, ma aiuta a ricordare le informazioni (perché lo stress può rendere difficile assimilare tutto ciò che il medico dice). Il sostegno della rete familiare e amicale è prezioso: non bisogna esitare a chiedere aiuto pratico (come accompagnamenti, sbrigare faccende) o anche solo una presenza empatica con cui sfogarsi. Se ci sono figli, può essere complesso gestire il discorso della malattia: spesso è consigliabile parlare con sincerità calibrando le parole all’età, rassicurandoli che mamma/papà ha dei medici bravi che la/lo stanno curando. Anche i partner possono vivere momenti di paura: affrontare insieme, comunicando apertamente le proprie emozioni e timori, può rafforzare la coppia in questa battaglia comune.
Strategie pratiche per affrontare lo stress emotivo: Gli psiconcologi (psicologi specializzati in oncologia) suggeriscono alcune tecniche utili per gestire l’impatto psicologico della diagnosi:
Dare voce alle emozioni: non tenersi tutto dentro. Piangere quando se ne sente il bisogno, esprimere la rabbia (in modo non distruttivo) o confessare le proprie paure a qualcuno di fidato o a un professionista è salutare.
Evitare i sensi di colpa: a volte il malato tende a colpevolizzarsi (“Dove ho sbagliato? Forse è colpa mia…”). È importante ricordare che il cancro non è colpa di nessuno; non serve sentirsi in difetto se ci si sente tristi o deboli.
Non forzarsi a essere sempre positivi: l’ottimismo aiuta, ma non bisogna fingere buonumore quando dentro non lo si prova. Accettare i momenti “no” fa parte del percorso. Cercare però, nei limiti del possibile, di mantenere la speranza è utile: molte donne prima di noi sono guarite e c’è motivo di credere nelle cure.
Tecniche di rilassamento e mindfulness: pratiche come la respirazione profonda, la meditazione, lo yoga dolce o il training autogeno possono ridurre l’ansia e migliorare il sonno. Anche passeggiare all’aria aperta, se si riesce fisicamente, aiuta a scaricare la tensione.
Restare attivi quando possibile: svolgere una leggera attività fisica compatibile con le proprie energie (anche solo fare due passi intorno a casa nei giorni buoni) ha effetti benefici sull’umore. L’esercizio rilascia endorfine che contrastano stress e depressione.
Concentrarsi su ciò che si può controllare: il cancro porta con sé incertezza, ma ci sono aspetti gestibili: seguire le terapie come da indicazioni, mantenere uno stile di vita sano durante le cure (alimentazione equilibrata, riposo) e seguire i consigli medici. Occuparsi attivamente di sé dà un senso di padronanza.
Queste indicazioni, stilate anche dal National Cancer Institute e da altre istituzioni, hanno l’obiettivo di fornire piccoli ancoraggi nella tempesta emotiva. Ogni persona può trovare sollievo in cose diverse: c’è chi mantiene un diario intimo dove scrive pensieri e paure, chi trova conforto nella fede o nella spiritualità, chi preferisce distrarsi con hobby creativi o leggere storie di altre persone che ce l’hanno fatta (le cosiddette “storie di speranza”). Non esistono ricette universali, l’importante è non isolarsi e non vergognarsi delle proprie emozioni.

Il ruolo del supporto psicologico professionale: Affrontare un cancro non è solo una sfida fisica, ma anche psicologica. Per questo in molti centri oncologici è disponibile la figura dello psiconcologo o comunque di uno psicologo dedicato ai pazienti oncologici. Chiedere aiuto a uno psicologo non è un segno di debolezza, anzi è un atto di cura verso se stessi. Lo specialista può insegnare strategie per gestire l’ansia, aiutare ad elaborare le emozioni e il cambiamento di vita che la malattia comporta. Ad esempio, un percorso di supporto psicologico può aiutare a contenere l’angoscia, ridurre i livelli di depressione e migliorare persino l’adesione alle terapie. Molti studi dimostrano che le pazienti che usufruiscono di supporto psicologico hanno una qualità di vita migliore durante le cure e talvolta anche esiti clinici migliori (ad esempio, meglio seguono le terapie, più forza di reagire, etc.). Il supporto può essere individuale (colloqui one-to-one) o di gruppo (incontri con altre donne nella stessa situazione, mediati da uno psicologo): c’è chi si trova più a suo agio in un contesto empatico di gruppo, tra “pari” che condividono esperienze, e chi preferisce parlare in privato col terapeuta. Entrambe le modalità hanno benefici. L’importante è che la paziente sappia di non essere sola: esistono servizi di psico-oncologia in molti ospedali, e associazioni di volontariato (come l’associazione italiana di psiconcologia o gruppi come Europa Donna, ANDOS, etc.) che offrono consulenza e supporto emotivo gratuito. Anche numerose LILT provinciali organizzano colloqui psicologici per pazienti oncologici.
Il supporto psicologico non si limita a “sfogarsi”: aiuta concretamente ad affrontare problemi collaterali che spesso sorgono, come ad esempio le preoccupazioni per il lavoro, la gestione dei figli durante le terapie, i cambiamenti dell’immagine corporea (pensiamo alla perdita dei capelli con la chemio, o alle cicatrici chirurgiche) e l’impatto sulla sfera sessuale e di coppia. Uno psicologo esperto può fornire strumenti per comunicare con i familiari, per gestire l’angoscia dell’attesa di referti, per superare l’eventuale calo di autostima. È uno spazio protetto in cui la donna (o l’uomo, nel caso di pazienti maschi) può sentirsi libera di esprimere paure anche inconfessabili altrove. Molti ospedali hanno inserito stabilmente uno psicologo nella Breast Unit (il team multidisciplinare senologico): questo significa che fin dalla diagnosi la paziente ha la possibilità di interfacciarsi con lui/lei in reparto, come parte integrante delle cure. Lo scopo dichiarato è migliorare la qualità di vita e l’equilibrio psico-emotivo durante un momento così difficile. Una celebre frase dell’oncologo Umberto Veronesi recita: “È facile togliere un tumore dal corpo, ma difficilissimo asportarlo dalla mente”. Questo riassume l’importanza di lavorare sulla psiche del paziente oncologico. Curare il malessere interiore è parte integrante del percorso di cura globale.
In sintesi, affrontare la diagnosi di tumore al seno significa prendersi cura non solo del corpo, con le terapie mediche, ma anche della propria salute emotiva e mentale. Chiedere aiuto – ai propri cari, a gruppi di supporto, a professionisti – è fondamentale. Non bisogna aver paura o vergogna di manifestare le proprie fragilità: chiedere sostegno è un segno di forza. Con il giusto supporto psicologico, molte donne scoprono di avere dentro di sé una resilienza straordinaria. Possono così trasformare il periodo delle cure in un percorso in cui, pur tra difficoltà, riescono a trovare nuove risorse, nuove prospettive e a rafforzare i legami affettivi. L’obiettivo è arrivare non solo alla guarigione fisica, ma anche a preservare (o ritrovare) il proprio benessere mentale. Ricordiamo infine che non si è soli: tante altre persone hanno provato quelle stesse paure e le hanno superate, e oggi ci sono strumenti e figure dedicati proprio ad aiutare ogni paziente a non farsi schiacciare dal peso emotivo della malattia.




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