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  • Immagine del redattoreGruppo Sadel

Agorafobia: come si manifesta?

L’agorafobia è il disturbo che indica la paura degli spazi aperti e dei luoghi affollati: chi ne è affetto si sente in pericolo tra la folla e avverte desiderio di fuga. Dall’etimologia greca “agorà” (piazza) e “fobia” (paura), il termine agorafobia significa letteralmente “paura della piazza”, ma si tratta di un fenomeno molto più complesso e profondo. Uno dei pensieri più ricorrenti che avverte la persona è il timore di non ricevere soccorso e di non trovare una via di fuga, per cui quando entra in un luogo chiuso cerca sempre con lo sguardo un’uscita di sicurezza per raggiungere un posto più sicuro. Chi soffre di agorafobia evita di salire sui mezzi pubblici (aereo, treno o tram) per paura di perdere il controllo e non frequenta luoghi di incontro come cinema, teatro, supermercati, ristoranti e centri commerciali, dove la sensazione di claustrofobia potrebbe scatenare attacchi di panico. La sensazione che si prova durante un attacco di panico può essere spiegata ricorrendo al mondo della mitologia greca e alla storia del dio Pan (da cui “panico”), una divinità molto temuta perché legata ai piaceri e agli istinti primordiali. Ogni volta che si manifestava in maniera improvvisa davanti alle Ninfe, queste provavano terrore, fino a innescare il cosiddetto cortocircuito psichico, fenomeno in cui più ci si spaventa e più si sta male, e più si sta male più ci si spaventa, comportamento caratteristico degli attacchi.



Questi episodi riportano sintomi somatici molto spiacevoli e difficili da controllare:

  • tachicardia

  • palpitazioni

  • dolore al petto

  • tremori

  • vertigini

  • sudorazione

  • senso di soffocamento e nodo alla gola

  • nausea

  • difficoltà alla respirazione

  • derealizzazione (sensazione che il mondo intorno a sé diventi estraneo e irreale)

  • depersonalizzazione (sentirsi distaccati da se stessi)

  • paura di svenire o di morire.


Diagnosi ed epidemiologia dell’agorafobia

Gli attacchi di panico sono comuni a differenti patologie: tramite sedute di psicoterapia si può eseguire una diagnosi differenziale tra l’agorafobia e altri disturbi che presentano tratti in comune. Per quanto riguarda l’epidemiologia, gli studi dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dimostrano che ne soffre tra l’1,5% e il 3,5% della popolazione mondiale, con una maggior predisposizione nel sesso femminile, mentre non esiste un dato statistico sull’età di insorgenza del disturbo (che può manifestarsi già durante l’adolescenza fino ai 35 anni).


Quali sono le cause dell’agorafobia?

«Di solito avvengono per grandi traumi che possono accadere (un lutto, un disturbo post traumatico da stress, esperienze vicine alla morte o incidenti) oppure – continua la specialista – c’è una parte di noi molto rigida e severa che, in seguito ad un cambiamento nella nostra vita che innalza il peso delle responsabilità, come la nascita di un figlio o una promozione sul lavoro, induce la persona a lasciarsi andare e chiedere aiuto». Se questo nuovo equilibrio di energie viene represso o sottovalutato si sfogherà come un sintomo, in questo caso l’agorafobia, che può interessare chiunque, dalla giovane mamma al manager abituato a tenere tutto sotto controllo e ad avere schemi mentali molto rigidi. Inoltre questa condizione di disagio può essere la conseguenza di patologie (anoressia, depressione e ipocondria) e spesso può dipendere da fattori ambientali e caratteriali, come per esempio un temperamento vulnerabile e sensibile con tendenza al pessimismo e alla negatività. Sicuramente influiscono anche ansia, preoccupazione e stress, e non sono da escludere la predisposizione genetica e la familiarità.

Come aiutare chi ne soffre?

Trattandosi di una condizione cronica, si può supportare chi ne soffre valutando un percorso di terapia cognitivo-comportamentale, imparando ad applicare strategie per la gestione delle emozioni e di rilassamento della mente, come l’ipnosi o il training autogeno.

Parallelamente è importante il ruolo di una terapia farmacologica prescritta dal medico specialista che prevede solitamente l’utilizzo di ansiolitici: quelli di prima scelta sono gli antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina). Inibendo il re-uptake di questo ormone, questi medicinali agiscono migliorando il tono dell’umore e sono tra i farmaci preferiti per terapie di lunga durata in quanto sono ben tollerati e non creano sedazione.


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